LA TRAPPOLA DELLA SCIMMIA

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La trappola della scimmia

Monkey trap
Da diversi giorni vado ragionando sulle trappole per scimmie. Non so se l’idea mi sia arrivata da Jacopo, che ne aveva scritto pochi mesi addietro, o stesse lì già da tempo. Fatto sta che l’ho in testa da un po’ e, riflettendoci, continua a trasmettermi con prepotenza una sensazione di spiacevole familiarità. Il mio amico Paolo è solito affermare che, se si vogliono capire i comportamenti umani, basta pensare alle scimmie e tutto trova spiegazione. Dunque, che cosa sta tentando di raccontarmi questa idea, su di me e sul resto dell’umanità?

La trappola per le scimmie sfrutta un meccanismo psicologico molto sottile. Il cacciatore predispone un contenitore, vaso o bottiglia, o anche la semplice cavità di un tronco, con un’apertura da un lato, ampia a sufficienza perché la scimmia possa infilarci la zampa, quindi inserisce nell’apertura un frutto all’incirca della stessa grandezza dell’orifizio, e si apposta a breve distanza. La scimmia infila la mano nell’apertura, afferra il frutto, ma a questo punto non riesce più a sfilare l’arto. Potrebbe farlo facilmente se decidesse di lasciare andare l’oggetto afferrato, ma lo desidera troppo, quindi rimane imprigionata per il tempo necessario alla cattura.

Una delle costanti culturali della specie umana, fin dalla notte dei tempi, è il tentativo di rimarcare la nostra differenza dal resto del regno animale. Dall’antichità più remota l’uomo descrive sé stesso come apice della creazione divina, dominatore del mondo, cui tutte le altre specie viventi devono essere asservite. Così ce la raccontiamo da millenni, confidando che il ripetere sufficientemente a lungo una bugia la trasformi magicamente in verità. Abbiamo dovuto attendere la metà dell’ottocento perché l’accumularsi di evidenze, ed il genio di Charles Darwin, ricostruissero la realtà di una specie tra tante altre, caratterizzata unicamente dallo sviluppo evolutivo di un cervello di grandi dimensioni.

Ricollocato l’uomo ad animale tra altri animali ho pertanto cominciato a domandarmi quali e quanti parallelismi comportamentali fosse possibile sviluppare, analisi che mi ha condotto in tempi relativamente recenti all’idea di Domesticazione Umana ed all’analisi dei suoi perversi effetti. Ma l’intrappolamento della scimmia ci mostra qualcosa che va oltre la riduzione in cattività. Mostra come la nostra stessa avidità possa venire subdolamente ritorta contro di noi, portandoci in conclusione alla perdita della libertà.

Ovviamente per l’uomo non bastano un frutto ed una bottiglia, serve qualcosa di più complesso, ma l’esito finale è del tutto analogo. Proviamo quindi a sostituire al frutto i beni di consumo, ed alla bottiglia l’insieme delle regole sociali ed economiche, che conosciamo perfettamente, che accettiamo, ma il cui reale funzionamento sfugge ai più. Ci renderemo conto di come quotidianamente veniamo solleticati da ‘oggetti del desiderio’ che hanno sia un costo reale che un costo occulto. L’umorista Altan ce lo spiega efficacemente con questa fulminante vignetta.

AltanL’uomo moderno individua gli oggetti del proprio desiderio in accordo, per solito, con le convenzioni ed i valori condivisi dal gruppo sociale di cui fa parte. È la collettività con la quale ci relazioniamo a dettare i canoni comportamentali accettati ed i marker dello status sociale. Ogni cultura umana identifica gli indicatori di ricchezza, benessere e leadership, dai primitivi copricapi in piume d’uccello ai moderni yacht.

L’oggetto che più comunemente caratterizza l’attribuzione di status nelle economie occidentali, o se vogliamo quello più immediatamente riconoscibile, è al momento l’automobile. Non perché non ve ne siano di più diffusi (televisori, gioielli, gingilli elettronici) o più costosi (case, barche), ma semplicemente perché l’automobile si sposta con noi ed ha assunto nel tempo la funzione di un ‘secondo abito’, indossato ed esibito per raccontare quello che siamo (o che crediamo, o che vorremmo essere) agli altri.

Nella fase del desiderio l’automobile appare, alla scimmia umana, alla stregua di un frutto come tutti gli altri, forse solo un po’ più vistoso. Col tempo, tuttavia, diviene oggetto di uso quotidiano e finisce col modellare intorno a sé le nostre intere vite. Abituati a muoverci in macchina ogni altra forma di spostamento ci apparirà via via strana e poco familiare, inusuale, scomoda, oltre alla spiacevole sensazione di dover dipendere, per i nostri spostamenti, da modalità esterne ed al di fuori del nostro controllo. In più, vivendo l’automobile come un secondo abito, la sua assenza indurrà la sgradevole sensazione di andare in giro nudi, l’equivalente sociale del non possedere più uno status nettamente percepibile dagli altri.

L’automobilista compulsivo finisce con lo sviluppare, rispetto al proprio veicolo, una forma di simbiosi non troppo lontana dalla dipendenza psicologica, che culmina nell’incapacità di immaginare altre modalità di spostamento. Frequenterà di preferenza locali e centri commerciali facilmente raggiungibili in auto, o dove sia comodo parcheggiare. Sceglierà di vivere nei quartieri che consentono un comodo raggiungimento in automobile del posto di lavoro. Percepirà il mondo come una serie di luoghi puntiformi disarticolati, raggiungibili per mezzo di strade più o meno veloci, più o meno tortuose, più o meno faticose.

Privo di argini, tale processo ha come esito finale una condizione in cui le nostre intere esistenze ruotano intorno all’uso dell’oggetto automobile, fino al punto da renderci incapaci di concepire una vita in assenza di essa. Non sono tanto i costi, pur elevati, che l’automobile ci impone, a rappresentare la vera trappola, quanto la perdita della libertà di spostarci in maniere differenti, di frequentare luoghi diversi dai soliti, operata a livello spesso inconscio. Abbiamo ancora tutte queste potenzialità, ma ci manca la capacità immaginativa necessaria a metterle in pratica.

L’adesione in massa a questo modello di mobilità, operata come collettività ingenua ed entusiasta, ha finito col modellare l’intera organizzazione urbana e del territorio. L’automobile, o se vogliamo il fenomeno consumistico nel suo complesso, ha prodotto lo sprawl urbano, l’ipertrofia abitativa (case sempre più grandi abitate da sempre meno persone) la proliferazione di corridoi stradali pensati per alte velocità di percorrenza, l’ingombro di suolo pubblico per le necessità di sosta.

Nel corso degli anni, spazi sempre più estesi sono stati sottratti ad ogni possibile utilizzo sociale e destinati esclusivamente alla movimentazione ed alla sosta delle auto private, producendo la marginalizzazione di ogni altra attività, erodendo spazi alla mobilità leggera, agli spostamenti a piedi, al gioco dei bambini ed al riposo ed alla socialità degli anziani. Ciò ha reso le strade cittadine dei non-luoghi pericolosi, rumorosi, puzzolenti, ed il raggiungimento di spazi e realtà piacevoli da frequentare un lungo viaggio da affrontare forzatamente a bordo del proprio veicolo.

Come nella trappola della scimmia, pensando di afferrare l’oggetto automobile per possederlo abbiamo finito con l’esserne catturati e perdere la capacità di farne a meno. Né più né meno di ciò che in medicina viene definito come acquisizione di una forma di dipendenza.

Ho voluto utilizzare l’esempio dell’automobile perché è quello col quale ho maggiore familiarità, ma considerazioni analoghe possono essere sviluppate per l’intrattenimento televisivo che ci aliena dagli altri (lo scrittore David Foster Wallace ha confessato in un’intervista di aver sofferto di ‘dipendenza da intrattenimento’, situazione narrata in chiave paradossale nel suo monumentale capolavoro “Infinite Jest”), per l’uso dei Social Network in alternativa al contatto interpersonale non mediato, per tutte le situazioni in cui sostituiamo il possesso e l’uso di oggetti, anche immateriali, alla vita relazionale.

Un processo iniziato per ragioni di necessità legate alla sopravvivenza che ci ha col tempo preso la mano, subendo un’impennata con la rivoluzione industriale, la cui evoluzione terminale consiste nell’attuale ‘società dei consumi’: una bolla temporale caratterizzata da accumulo compulsivo, sovrappopolazione e conseguente devastazione ambientale. Tre fra le attività che alla nostra specie riescono meglio.

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Fonte:  http://www.crisiswhatcrisis.it/2016/06/13/la-trappola-della-scimmia/

Il codice Morale

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“Senza Cristo crolla la civiltà. Solo Putin l’ha capito” – Blondet & Friends

MB – Questo sopra è il titolo di un recente articolo di Pat Buchanan: grande giornalista, intellettuale, conservatore di vecchio stampo (quindi ostile ai neo-conservatives),  molti anni fa si  candidò anche alla Casa Bianca, naturalmente senza esito. Traduco qui questa sua limpida diagnosi della malattia   terminale dell’Occidente. Per molti motivi,  che alcuni capiranno,  e renderanno  altri lettori  rabbiosi: non ultimo movente di questo post, lo confesso. 

“In una  delle sue ultime colonne, Dennis Prager [un altro influente columnist] ha un’acuta osservazione: “La stragrande  maggioranza degli intellettuali conservatori ha una visione della vita laica.  Essi non si rendono conto del  disastro a cui l’ateismo ha portato in Occidente”.

Questi  conservatori a-religiosi  credono che “l’America può sopravvivere alla morte di Dio e della religione”, ma – dice Prager – sbagliano. La religione di un popolo, la sua fede, crea la sua cultura, e la sua cultura crea la sua civiltà.  E quando una fede muore, muore la cultura, muore la civiltà  – e anche quel popolo comincia a morire.

Non è questa la storia attuale dell’Occidente?  Oggi nessuna grande nazione dell’Occidente ha una natalità capace di scongiurare  l’estinzione dei suoi nativi. Per la fine del secolo, altri popoli ed altre culture avranno in  gran parte ripopolato il Vecchio Continente.  L’Uomo Europeo pare destinato a finire come le 10 tribù perdute di Israele:  superate  in numero, assimilate e scomparse.  E  mentre i popoli europei, Russi, Tedeschi, Britannici, Baltici, calano in numero,  la popolazione dell’Africa,  stima l’ONU, raddoppierà in 34 anni, giungendo a due miliardi.

Che cosa è avvenuto all’Occidente?

Come ha scritto G.K. Chesterton, quando gli uomini cessano di credere in Dio, non è che da  allora non credono in nulla; è che credono a qualunque cosa. Le elites europee, cessato di credere nel Cristianesimo, cominciarono a convertirsi alle ideologie, quelle che Russel Kirk chiamava “religioni secolari”.  Per un certo tempo, queste religioni laiche – Marx-leninismo fascismo, nazismo – hanno conquistato i cuori e le menti di milioni.  Ma sono oggi tra gli dèi che hanno fallito nel 20 secolo.

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Adesso l’Occidente abbraccia  le fedi più nuove: egualitarismo, democratismo, capitalismo, femminismo, ambientalismo, mondialismo.  Anche queste danno  significato alle vite di milioni; ma anche queste sono sostituti inadeguati della fede che ha creato l’Occidente.  Ciò, perché  manca  a loro la cosa che il cristianesimo ha dato all’uomo:  una causa non solo per la quale vivere, e per la quale morire, ma un codice morale con cui vivere tutti i giorni – con la promessa che,  termine di una vita vissuta secondo quel codice,  viene la vita eterna.

L’Islam fornisce questa promessa.   Il secolarismo, non ha niente da offrire che eguagli una simile speranza.

Se guardiamo ai secoli passati, vediamo quel che ha fatto la fede.   Quando, dopo la caduta dell’impero romano, l’Occidente abbracciò il cristianesimo come fede superiore a tutte le altre – in quanto il suo fondatore era il Figlio di Dio – l’Occidente  è andato avanti a creare la civiltà moderna, e poi è uscito alla conquista del mondo conosciuto.

Le verità che l’America ha insegnato al mondo, l’inerente dignità e  valore dell’uomo, e l’inviolabilità dei diritti umani, risalgono alla cristianità, che insegna che ogni persona è figlia di Dio. Oggi però, con il cristianesimo morto in Europa, e lentamente morente in America, la cultura occidentale  diventa sempre più corrotta e decadente, e la civiltà occidentale è visibilmente in declino.  Rudyard Kipling ha previsto tutto ciò in “Recessional”:

“Le  nostre flotte inviate lontano si son dissolte, su dune e promontori affonda il fuoco: ecco, tutta la grandiosità di ieri  ha avuto lo stesso destino di Ninive e Tiro”.

Tutti gli  imperi dell’Occidente sono svaniti, e i figli dei popoli un tempo soggetti attraversano il Mediterraneo per ripopolare i paesi materni, i cui abitanti nativi invecchiano, calano e muoiono.  Dal 1975, due sole  nazioni europee hanno mantenuto un tasso di natalità sufficiente a tener vivi i loro popoli: l’Albania musulmana e l’Islanda.  Date le popolazioni che rimpiccioliscono e le ondate di immigrati che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente, prima della fine del secolo si può prevedere un’Europa islamica.

Vladimir Putin, che ha visto da vicino la morte del marxismo-leninismo, sembra capire l’importanza cruciale del cristianesimo pe Madre Russia; cerca di far rivivere la Chiesa ortodossa e di  iscrivere il suo codice morale nella legislazione  della Russia.

E che dire dell’America, il “Paese di Dio”?  Il cristianesimo è stato  scomunicato dalle scuole e dalla vita pubblica da due generazioni; l’insegnamento del Vecchio e Nuovo Testamento rigettato per legge; e da allora abbiamo assistito  a un declino sociale sorprendentemente ripido.  Dagli anni ’60 l’America ha toccato nuovi record in fatto di aborti, delitti violenti, carcerazioni, consumo di stupefacenti.  Lo Aids non è comparso che dopo gli anni ’80, ma centinaia di migliaia ne sono già morti, e milioni soffrono di questa e delle patologie connesse.

Il 40 per cento  delle nascite in Usa avvengono fuori dal  matrimonio.  Per gli ispanici, il tasso di nascite illegittime è oltre i 50%; per i neri, oltre il 70.   Nelle scuole superiori americane  i punteggi degli studenti scendono di anno in anno, e si avvicinano ai dati del Terzo Mondo.  Il suicidio sta crescendo come causa di morte fra i bianchi di mezza età; e le visioni laiche non  hanno  risposta alla domanda: ‘perché non farlo?”.

Come ha scritto Samuel Johnson: “E’ piccolissima la parte di sofferenze del cuore umano  che leggi e re  possono curare”.   I conservatori secolaristi forse hanno dei rimedi per alcune delle malattie dell’America. Ma, come ha visto Johnson, nessuna politica laica può curare la malattia dell’anima dell’Occidente: la perdita della fede, perdita che appare irrecuperabile”.

http://russia-insider.com/en/politics/if-god-dead/ri14082

http://buchanan.org/blog/if-god-is-dead-125152

(un mio commento )

Che la civiltà occidentale sia giunta al suo capolinea  epocale – o nel suo vicolo cieco –  , è sensazione comune anche (spero per loro) fra gli atei:  crisi terminale del capitalismo che non sa come uscirne avendo consumato tutta la valigia dei trucchi, degrado morale e dissociazione sociale, consunzione dell’individualismo edonista in nichilismo e voglia di morte. Le nuove “conquiste” e i “diritti”   per cui si battono gli ultimi  progressisti non hanno  la forza di ottimismo delle vecchie “magnifiche sorti e progressive” della grandi loro ideologie:  sono conquiste mortuarie e funebri, l’aborto, l’eutanasia, i “matrimoni” spettrali fra funerei invertiti…

Ci arrivano (forse) anche loro, le masse atomizzate e  ormai disorientate di desideranti, consumatori insaziabili di prodotti-standard e i loro “dirigenti” e  psico-poliziotti del progressismo. Ciò che rigettano con furia, con rabbia pazza ( e perciò sospetta: hanno terrore) è   la diagnosi che Buchanan enuncia con tanta franca semplicità: la nostra civiltà è al capolinea perché ha rifiutato la fede.  Quella cristiana, specificamente.   L’odio irrazionale, sbavante,   che il progressismo radicale vigente  tributa a Vladimir Putin è il presentimento che la salvezza della civiltà richieda una “rettificazione”, l’adesione a un codice morale quotidiano, a dogmi esigenti fondati nella storia del popolo, la rinuncia all’edonismo microscopico e  pullulante; la fine della vacanza dell’edonismo dozzinale e  standard a  cui  le masse atomizzate  europee si credono (son fatte credere) “liberate”, emancipate dai “dogmi e tabù”.

E’  comicamente sintomatica,  per contro, l’adorazione che i gestori intellettuali del progressismo terminale – da  Pannella a  Bertinotti, da Eugenio Scalfari all’intero corpo dei giornalisti ‘de sinistra’  – tributano a “Francesco”,  come lo chiamano affettuosi: proprio mentre – con l’alta  gerarchia clericale  –   questo  è impegnato freneticamente a  diroccare l’edificio che ha creato la  civiltà, la moralità  civile, la cultura, i  nobili costumi (la Cavalleria)  oggi stracciati e calpestati,  a smontare la Chiesa de-sacramentalizzandola, per farla diventare un’ausiliaria della religione generica adatta al governo unico mondiale – questi miscredenti smarriti, adoranti, aspettano da  ‘Francesco’ una via  d’uscita al capolinea in cui si sono  cacciati.  Son diventati clericali, ad ogni occasione citano le frasi di “Francesco”:  ovviamente le più anticristiane, tipo “chi sono io per giudicare?”.   Bevono da lui il loro nuovo catechismo, che li conferma nella “fede” laica.  Che buffo  e triste spettacolo.  Mortuario anche questo.

Ma ciò non esime noi – i quattro gatti cattolici rimasti – da chinarci sull’ultima parola di Buchanan.  “Irrecuperabile”. Anche noi, che “crediamo” di aver fede, siamo feriti dalla temperie, dal Satana collettivo che infuria sull’Occidente come leone ruggente.  Non basta riconoscere che ci vuole la fede cristiana per mantenere e ricostruire la civiltà; la fede, bisogna averla,  viverla. Lo facciamo davvero, noi che andiamo a Messa?   Le protezioni soprannaturali diroccate dalla Gerarchia traditrice, c’erano nella liturgia, ci lascia esposti al leone ruggente.   La nostra fede è davvero più che una briciola?

Molto recentemente un personaggio cattolico militante, di cui non vale  la pena di dire il nome, un co-fondatore di Alleanza Cattolica, un “tradizionalista”, ha annunciato all’organizzazione di rinunciare a tutte le cariche perché – lasciata moglie e quattro figli –  a 61 anni  va’ vivere in USA con la sua amante.  A New York, la capitale del Tramonto, molto simbolico trasloco.

Dopo l’inevitabile ghigno maligno (era un mio avversario, ultra filo israeliano, frequentatore dell’universtà di Herzlya, ossia del Mossad…) mi sono chiesto: può capitare anche a me?  Quello si è svestito della sua “fede cattolica” come fosse un abito…che dico, un abito? Come fosse una maschera di carnevale, un naso finto di cartapesta applicato sul volto con l’elastico,  di cui s’è liberato   senza difficoltà alcuna  per andare a inseguire un po’ di sesso, un piacere di cui doveva pur sapere – pieno com’è di dottrina – che  inganna e non dura, di cui si pentirà presto.  Il suo vero volto era dunque questo, l’edonismo dozzinale e standard; e la fede in Cristo, solo  il suo costume carnevalesco,   il suo naso di cartapesta.

Anche la mia – la mia personale – è forse un naso di cartapesta. E’ posticcia e superficiale  come un costume di carnevale. Lo so. Sono anch’io della generazione infettata. Mi guardi la Vergine santa, perché posso fare lo stesso, e anche peggio. Io credo – anzi- so – che questa generazione  che s’è emancipata farà  la fine di tutte le civiltà che si “liberarono”: sarà spazzata via dal mondo, perché ne è diventata un peso inutile. So  –  più che credere so – che l’uomo è fatto per servire Dio, e quando cessa,  viene sostituito. La Chiesa è diroccata e senza rifugio, siamo rimasti quattro gatti e la nostra fede non è minimamente sufficiente per affrontare i tempi, la crisi epocale e il Leone ruggente.

Però, posso testimoniare una cosa. Verissima. In questi tempi, con “questa”  Chiesa  in dissoluzione, con un cattolicesimo che ha rinunciato alla missione e preti che insegnano la “pastorale ecumenica”  – ci son giovani che vengono chiamati. Vengono scelti ad uno ad uno, ricevono chiamate attraverso incontri e messaggi   che è impossibile raccontare – perché sono inequivocabilmente soprannaturali.  Ne ho conosciuto, nell’ultimo anno, almeno tre. Erano giovani perduti,  immischiati nei piaceri standard; giovani a cui nessuno ha mai parlato della fede (salvo un vecchia nonna) specificamente cattolica. Eppure,  dopo aver risposto alla chiamata, all’incontro con ua persona mai più  incontrata, essi riscoprono tutto: intendo tutto il cattolicesimo. Tradizionale, tomistico, liturgico e gregoriano,  quello abbandonato dalla Chiesa gerarchica.  Sono cattolici integrali. Uno di questi chiamati  m’è venuto a trovare  qualche settimana fa, adesso, sposato e con figli,   insegna (insegna!)  Tommaso d’Aquino, la  philosphia perennis, in una università spagnola: con santa faccia tosta e vera dottrina. La dottrina che chi l’ha chiamato,  gli deve aver insegnato.  Io ho un briciolino di fede, che non resisterà alla persecuzione. Ma vedo che Cristo sta chiamando uno per uno quelli che la ricostruiranno, in un futuro molto prossimo che io non vedrò;  sta  arruolando i commandos,  i martiri gloriosi, gli eroi virili – e qualche amazzone ferocissima –  dell’ultima battaglia.

Quindi, sono sereno. Ci sarà una civiltà, anche nel domani che non vedrò, dopo la catastrofe. I cristiani saranno forti allora.   Ci sarà un impero cristiano, come dicono alcune profezie – non una repubblica.  Un impero santo.  Non  una democrazia.

 Fonte: http://www.maurizioblondet.it/senza-cristo-crolla-la-civilta-solo-putin-lha-capito
Un mio commento personale.
 … perché manca a loro la cosa che il cristianesimo ha dato all’uomo: una causa non solo per la quale vivere, e per la quale morire, ma un codice morale con cui vivere tutti i giorni…. Il codice morale.
Non importa a quale religione uno appartenga. Le religioni e le ideologie creano un codice morale al quale attenerci con cui vivere tutti i giorni.
Senza codice morale mancano i riferimenti per poter fare le scelte. L’uomo ha bisogno di sapere come scegliere tra il “bene” ed il “male”.
Ecco che la famiglia non ha significato, (non è più un male separarsi…), nemmeno se ne parla più in Parlamento, il centro delle azioni e della politica è diventato l’individuo con i suoi desideri più istintuali…. sesso, potere, ricchezza, competizione,…..e basta.
Sono ormai tanti anni che spero che qualcuno dall’esterno possa portare un codice morale, speravo nell’Europa ma è anche peggio, ora l’unica possibilità è che ci estinguiamo…
Come ogni impero ci sono sempre tre fasi l’ascesa dove troviamo un ferreo codice morale, la fase di assestamento dove il codice morale scricchiola, e il declino dove non c’è alcun codice morale.
Tutto sta nel capire quanto durerà il declino.

PERSINO LONDRA è CONTRO IL TTIP. E NOI INVECE, OBBEDIAMO

PERSINO LONDRA è CONTRO IL TTIP. E NOI INVECE, OBBEDIAMO.

La buona notizia: subito dopo la visita di Obama che ha ordinato di non uscire dall’Europa, il numero degli inglesi che voteranno il Brexit è diventato maggioranza. E’ la prima volta, secondo i sondaggi. Ma non è tutto ‘merito’ del mezzo-kenyota (come l’ha chiamato il sindaco della capitale Boris Johnson). E’ che è ora pubblico il rapporto della London School  of Economics sugli effetti del TTIP, il trattato transatlantico. Lo studio l’aveva commissionato Cameron, sperando di trovarvi argomenti per la sua propaganda atlantista. Dopo averlo  letto, l’ha secretato. E’ stato costretto  a  rilasciarlo  in base al Freedom Of Information Act (un tipo di legge sulla libertà d’informazione che in Italia non esiste) su istanza giudiziaria di  Global Justice Now, un gruppo di cittadini attivi.

La London School (LSE) è una storica università  imperiale, una delle centrali dell’ortodossia liberale, ovviamente pro-governativa,  mica un sito alternativo. Ebbene: la sua valutazione del TTIP è devastante. Per il Regno Unito, dice chiaro, l’introduzione del Trattato transatlantico “configura moltissimi rischi e quasi nessun beneficio”.

L’istituto – che è una voce autorevolissima –  punta il dito specificamente sulle camere arbitrali,  i tribunali (privati e segreti) istituiti dal Trattato, davanti a cui le multinazionali possono trascinare gli Stati, protestando che certe leggi ostacolano il suo business, e quindi la libera concorrenza. Fra gli esempi, il LSE ne ricorda alcuni: l’Australia querelata dalla Philip Morris per aver imposto per legge pacchetti anonimi; la Philip Morris che denuncia l’Uruguay per aver questo stato messo un annuncio del tipo “Il fumo danneggia la salute” sui pacchetti.

Esempi più sinistri ancora: l’Argentina denunciata e condannata per avere bloccato i prezzi  delle bollette elettriche,  a protezione dei cittadini consumatori, durante il tragico collasso economico.  La Veolia, la multinazionale francese che gestisce i servizi di acqua, energia e nettezza pubblica, la quale ha avuto lo stomaco di denunciare l’Egitto per aver introdotto il salario minimo, cosa che secondo la ditta la danneggia.

Non potrebbe essere più chiaro: non è capitalismo, è il ritorno alla legge della jungla.

Il Regno Unito, che nonostante il suo liberismo mantiene una legislazione sociale robusta, si troverebbe in modo permanente sul banco degli accusati, soggetto a multe e punizioni e obbligato a cambiare punti essenziali del diritto. “C’è motivo – dice il LSE – di aspettarsi che il trattato UE-USA imporrà costi significativi al governo. Basandoci sull’esperienza del Canada nel NAFTA [il trattato pan-americano gemello del TTIP], ci dobbiamo attendere che le clausole di “protezione dell’investitore” [del TTIP]  saranno regolarmente invocate da investitori USA per atti del governo  del Regno che di norma non sono contestabili secondo il diritto nazionale”.  Per cui, continua l’Istituto con tipico understatement, “si ha poco motivo di ritenere che [il Trattato] darà al Regno Unito benefici di qualche significato.  Si ha scarso motivo di credere che darà al Regno Unito benefici politici significativi”

Chi vuole leggere l’intero studio, lo trova qui:

http://www.globaljustice.org.uk/news/2016/apr/25/foia-reveals-governments-assessment-ttips-corporate-courts-%E2%80%93-lots-risks-and-no

Né vantaggi economici, né politici. A questo punto bisogna chiedersi perché i “nostri” governanti  europei, quelli che in qualche modo abbiamo eletto a rappresentarci, stiano ancora operando sottobanco – in combutta con Bruxelles – per ingabbiarci nel TTIP. Qui evidentemente obbediscono ad ordini che superano persino il livello del  presidente USA,  quello che può essere sbeffeggiato mezzo-kenyota;  un ridicolo personaggio che fra pochi mesi non conterà più nulla  (in Italia, laudatissimo  fino alla fine  dal Partito Radicale, il più americano dei gruupuscoli).

Ha detto alla Merkel che accogliendo milioni di profughi “è nella parte giusta della storia” un tizio, pateticamente fallito, che fra un anno sarà nella  discarica della storia.  Non è certo lui ad avere la forza propria per ordinare agli europei quel che ha ordinato: accelerare l’approvazione del TTIP, continuare le sanzioni contro la Russia, dare più soldi alla NATO impegnata in rotta  bellica contro Mosca.

Obama e i suoi successi

Eppure la Merkel , Hollande, Renzi hanno accettato tutti i diktat senza  un’obiezione (solo Hollande, incredibile, ha piagnucolato che è difficile far passare il TTIP senza revisioni:  dato  lo stato di rivolta dei francesi, è comprensibile).  La Merkel soprattutto:  in calo  elettorale, col disastro della “accoglienza”   che ha mostrato la stupidità della sua leadership,  e destabilizzao   la UE; con la maggioranza dei tedeschi che vogliono la fine delle sanzioni anti-russe secondo tutti i sondaggi; con la sorella Austria che alza le barriere per non essere invasa, e dà  una simbolica maggioranza al partito “xenofobo”  –  non ha certamente alcun vantaggio, né economico né politico, da riscuotere  per il suo servilismo. Lei, da sempre ossessionata dai sondaggi, fa’ harakiri politico  pur di obbedire alla Forza Oscura che dirige i destini poltici d’Europa.

Nelle settimane scorse, la Commissione europea ha continuato l’inglobamento di fatto dell’Ucraina –  sta abolendo i visti – all’indomani del referendum dove il 64% degli olandesi ha detto NO.  “La gente vota per qualunque cosa, ma di rado sul tema del referendum”,  ha schernito quel risultato Martin Schulz, il presidente del palamento europeo:  Schulz ha  il fiato pesante di totalitarismo, si sente troppo  che  sta obbedendo alla Forza.  Sui paesi che hanno elevato controlli per non essere invasi dagli immigrati,   lo stesso personaggio ha parlato con spregio di “ricchi che abitano da qualche parte e chiudono la porta”, di “egoisti, di nazionalismo che non è che un egoismo allargato”. Ora, chiamare “ricchi” gli ungheresi, è veramente odioso. E ciascuno è in grado di notare come Schulz usi gli stessi argomenti e lo stesso disprezzo del primo Papa la cui elezione è  stata salutata con trionfo dalla Massoneria.

Ad Hannover, investita da una colossale manifestazione anti TTIP, la Merkel s’è accordata con Obama di approvare e far approvare dagli europei il TTIP entro l’anno.  Bruxelles ha di nuovo aperto alle sementi e ai pesticidi Monsanto.  Nessuna protesta dei “nostri governanti”  contro il fatto che gli Stati Uniti, in Siria, hanno violato il cessate-il-fuoco e stanno fornendo armamento eccezionalmente pericoloso per l’aviazione russa:  come ha rivelato la rivista Janes’s, inglese, un’autorità nel suo genere e non certo anti-occidentale.

http://www.janes.com/article/59374/us-arms-shipment-to-syrian-rebels-detailed

A quale Forza obbediscono? Non si può qui evocare che il celebre detto del banchiere James Warburg (1896-1969), membro del Council on Foreign Relations  al Senato americano: “Avremo un governo mondiale, che vi piaccia o no. La sola questione che si pone è di sapere se questo governo mondiale sarà stabilito col consenso o con la forza ”

Ma la colpa finale non pesa sui “nostri” governanti. Pesa su di noi, passivi incapaci di difendere i principii della libertà e della dignità. Il totalitarismo del 21mo secolo ci è sopra,  e noi “vigiliamo” sì, ma contro il Nazismo, il “fascismo”, l’autoritarismo, la “xenofobia”….. Come ci ha prescritto il loro Mattarella.  E Schulz, e El Papa.

Forse si salveranno gli inglesi. E forse, anche noi.

L’articolo PERSINO LONDRA è CONTRO IL TTIP. E NOI INVECE, OBBEDIAMO. è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.

Fonte: http://www.rischiocalcolato.it/2016/04/persino-londra-e-contro-il-ttip-e-noi-invece-obbediamo.html

Concetto di libertà e democrazia – come resistere al condizionamento – parte seconda

Facciamo un passo indietro. Le persone possono essere felici senza tutti questi beni? Sono i beni che portano alla felicità? o invece portano ad una soddisfazione temporanea ed immediata di un bisogno condizionato che appena finito l’effetto porta ad un altro bisogno condizionato da soddisfare?

La felicità appartiene alla sfera del trascendente per quanto riguarda la sua sostanza definitiva, oggetto della ricerca dell’individuo. Essa però possiede a sua volta un fondamentale caposaldo nella condizione immanente dell’io, frutto della soddisfazione di bisogni primari dovuti agli istinti e agli impulsi biologici quali ad esempio la fame, il sonno, l’appagamento sessuale. Essi possono essere considerati come parte integrante della felicità, ma non come unica costituente della stessa. I bisogni biologici creano una condizione di attesa e di infelicità che tende a risolversi nel momento in cui si appaghi il proprio bisogno primario: l’appagamento ottiene una condizione di serenità e di tranquillità che produce felicità biologica, identificabile con il piacere, la quale influenza anche le altre componenti come la psiche e lo spirito, ciononostante l’appagamento biologico è sottoposto ad una temporaneità irrevocabile, frutto del continuo ripresentarsi di pulsioni e istinti dopo il breve periodo di compimento degli stessi. Relegare la felicità solo al piano biologico, significa dipendere unicamente dai bisogni biologici e non andare oltre, condizione questa di un susseguirsi ciclico che ritorna su se stesso.

La felicità può essere considerata come il provare ciò che esiste di bello nella vita. Non è un’emozione oggettiva, né è casuale come un evento del destino, ma è una capacità individuale da scoprire. Come insegna la cultura popolare (ad esempio nel famoso proverbio “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”), la felicità non è un inseguimento dei sogni futuri, ma al contrario è il cercare di godere di quello che si possiede nel presente. Spesso i cosiddetti “falsi idoli” (ovvero i soldi, il benessere corporale, la fama, il successo, il potere) sono considerati fonte di felicità, ma secondo talune teorie questo atteggiamento crea solamente più ansia che è in contrasto con lo stato della felicità. Il raggiungimento di un falso idolo può provocare solo una gioia effimera, poiché più si conquista una cosa più ne cresce il desiderio.

Una persona media del nostro continente occidentale lavora, per la maggior parte chiusa in un ufficio, davanti ad un monitor, per 8-10-12 ore al giorno, dipende dal suo grado di dipendenza al sistema. Entra al mattino presto ed esce che è già buio in inverno … Quando finisce entra in un’alta scatola (la casa), magari messa sopra o inserita in un’altra moltitudine di scatole… cena mangiando quello che trova e si rimette davanti ad un altro monitor che lo condiziona dicendogli quello che è meglio per lui, quello che deve comprare per essere accettato dagli altri massificati …

Non si accorge dei propri figli, se non quando gli chiedono qualcosa, non si accorge delle stagioni, non si accorge di nulla… si accorge solo quando il sistema lo elimina perchè ormai troppo vecchio per produrre… allora spaesato come non mai per tutto quel tempo libero si ammala e poi muore…

Il sistema è riuscito a farci rinunciare alla cosa più preziosa che abbiamo il tempo libero…

Per cambiare questo modello alcuni anni fa abbiamo fatto delle scelte.

Fuori dalla città: in città non si riescono a costruire relazioni umane di reciproco aiuto… ognuno pensa esclusivamente ai propri interessi.

Siamo andati a vivere in una contrada. 32 residenti. Ed incredibilmente si fanno molte cose assieme, l’orto, il formaggio, i salami, ci si scambiano aiuti in tutte le cose che servono, si condividono momenti tutti assieme, una comunità che pensavo non esistesse…

Siamo andati a vivere in una casa con un terreno… vediamo gli uccelli fare il nido, talvolta qualche animale selvatico, vediamo crescere gli alberi, i fiori, i frutti raccolti dalla pianta e mangiati al momento, le cagne che hanno fatto i cuccioli, vediamo le stagioni meravigliose di questa terra…

Abbiamo un progetto di autosufficienza e sostenibilità… dal mio punto di vista le persone devono avere un progetto a lungo termine nel quale investire la propria vita.

Abbiamo rinunciato ad un sacco di comodità (molti in famiglia non sono d’accordo…) ma questo ci permette di non dare per scontato nulla…

Abbiamo fatto delle scelte di reddito limitato in cambio del tempo libero …

Chiaramente per il momento è tutto un grande caos…. ai figli non interessa il progetto, alla moglie poco, l’orto produce poco o niente, l’autosufficienza energetica è ancora un miraggio, i soldi non bastano mai…

Ma ogni giorno sento che questa è l’unica strada percorribile, ogni giorno sento che la mia vita ha un senso, ogni giorno vivo.

 

 

Concetto di libertà e democrazia – La fine della diversità di pensiero – parte prima

Stavo seguendo vari dibattiti radiofonici dove si valutavano i pochi regimi autoritari ancora esistenti e quanto questi siano senza democrazia e libertà.

Prendo spunto dalle parole di un film per esprimere il mio pensiero:

“Perché siete tanto anti-dittatori? Immaginate America come dittatura: potreste lasciare a uno per cento di popolo tutta ricchezza di nazione, potreste fare vostri amici ricchi più ricchi tagliando loro tasse e pagando cauzione quando perdono al gioco. Potreste ignorare esigenze di poveri come salute e istruzione! Vostri media sembrerebbero liberi, ma segretamente controllati da una persona e da sua familia! Potreste intercettare telefoni! Potreste torturare stranieri prigionieri! Potreste avere elezioni truccate! Potreste mentire su perché vai a fare guerra! Potreste riempire le prigioni con un gruppo razziale di un certo tipo e nessuno protesterebbe! Potreste usare i media per spaventare il popolo, in modo che appoggi politica che va contro i loro stessi interessi! Lo so che è difficile per voi americani da immaginare, ma provateci, dai! (Generale Aladeen)”

Per libertà s’intende la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, ricorrendo alla volontà di ideare e mettere in atto un’azione, mediante una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a realizzarla.

Secondo una concezione non solo kantiana, la libertà è una condizione formale della scelta che, quando si tramuterà in atto, in azione concreta, risentirà necessariamente dei condizionamenti che le vengono dal mondo reale, sottoposto alle leggi fisiche necessitanti, o da situazioni determinanti di altra natura.

Ecco questo è il punto noi siamo stati manipolati per credere di essere liberi…

Ma chi ci manipola? il sistema. Cioè un’unità funzionale costituita da più parti interagenti. Le multinazionali, che hanno come unico obiettivo il profitto ai propri soci e che hanno mezzi finanziari e capitali maggiori di molti stati; i governi, ormai emanazione delle multinazionali, il modello capitalistico con la massimizzazione del profitto e del mercato senza regole.

Siamo schiavi inconsapevoli che lavorano fino alla morte incanalati in ideali inesistenti costruiti da quelli che ci vogliono schiavi.

Sono affezionato alla teoria che alla base di tutto ci sia la natura umana: infatti i sostenitori della tesi del Capitalismo perenne affermano che il continuo tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita (e quindi anche economiche) a discapito di altri soggetti o di altre comunità faccia parte del naturale comportamento dell’uomo e sono dunque convinti che il capitalismo – inteso come attitudine umana all’arricchimento personale o della propria comunità (generalizzando, il miglioramento delle proprie condizioni di vita) attraverso il concentramento di risorse universalmente limitate e quindi di valore – sia sempre esistito e continuerà a esistere, nonostante si sia manifestato sotto forme differenti nella storia.

Allora in questa ottica come si collocano il concetto di libertà e di democrazia?

La democrazia, ovvero il sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dall’insieme dei cittadini che ricorrono ad una votazione, è un palliativo. Anche se fossimo liberi di votare chi vogliamo, i soli condizionamenti esterni posti da chi manipola i sistemi di comunicazione (mass media) farebbero scegliere il candidato più idoneo al sistema. E’ veramente difficile in un sistema condizionato come questo diventare consapevoli delle manipolazioni alle quali siamo sottoposti. Ci hanno imposto lo smarthphone come status symbol e nessuno può farne a meno. Ai ragazzi fin dalle elementari passano solo modelli di consumo. Uno cresce davanti ad un monitor che gli fa da baby sitter e poi gli indica cosa comprare e quali cose sono giuste. Mente formattata.

E Tutto questo perchè ci deve essere maggiore crescita, maggior guadagno. Dobbiamo crescere. Se il PIL non cresce è un dramma. Nessuno si accontenta più. Bisogna allargare il mercato per le aziende, guadagnare di più per spendere di più ed avere più comodità, lavorare di più per avere sempre meno tempo libero.

Il concetto di famiglia, comunità (intesa come piccolo gruppo di persone che collaborano ed hanno uno stesso fine) sono disintegrati. Esiste solo l’individuo. IO ERGO SUM. Il massimo per il mercato è il singolo. Più sei solo e disgregato più consumerai.

La libertà quindi che abbiamo in questo sistema condizionante in cosa si differenzia dalla libertà dei regimi autoritari? Ad ognuno la risposta. Una cosa è certa comunque. I regimi autoritari in un certo qual modo tentavano di contrastare con proprie idee il sistema economico capitalistico e quindi erano nemici da abbattere.

Se penso a  Mu’ammar Gheddafi, Bashar al-Assad, Saddam Hussein, e a molti altri come loro, ognuno di loro aveva costruito un paese solido, ricco, con sicurezza, cultura, rispetto del passato, salute, … Mancava la libertà? Ma se noi chiedessimo ai popoli ai quali abbiamo esportato la nostra libertà e democrazia se preferissero la dittatura di prima o questa libertà cosa risponderebbero?

Per i popoli ancora non soggiogati al capitalismo si usano le armi per imporre la nostra democrazia, per tutti gli altri la guerra viene fatta in maniera meno evidente ma con lo stesso obiettivo di cancellazione delle identità nazionali e locali.

Non sono certo a favore delle dittature sanguinarie ma mi rendo conto che il nostro sistema è ancora peggio perchè fa le stesse cose ma nasconde il braccio. Gli interessi che vengono rappresentati dal sistema nel quale siamo immersi non hanno nulla a che fare con i valori del rispetto della persona umana. Tutto si basa su interessi economici. La persona umana, la comunità, la polis sarebbe dovuta essere al centro di una Res Politica non solo un mezzo per raggiungere altri scopi di arricchimento ed egemonia. La prima definizione di “politica” (dal greco πολιτικος, politikós) risale ad Aristotele ed è legata al termine “polis”, che in greco significa città, la comunità dei cittadini; secondo il filosofo, “politica” significava l’amministrazione della “polis” per il bene di tutti.

Ma poi in pratica in cosa consisterebbe la nostra libertà? Nella libertà di scegliere cosa? Da uno studio dell’associazione commercialisti di Rimini la pressione fiscale sulle persone fisiche arriva al 52,2 % . Quindi noi lavoriamo fino a Giugno solo per pagare lo stato. Ma a fronte di cosa? Quali servizi ci vengono offerti dallo stato? Istruzione? Ordine Pubblico? Trasporto pubblico? Infrastrutture? Salute?… e ancora libertà di scegliere cosa? finanziamento pubblico ai partiti? modello elettivo delle camere? presenza militare all’estero? politiche di globalizzazione ed accordi commerciali internazionali? ….

La nostra è una democrazia rappresentativa. Infatti gli eletti rappresentano se stessi e quei poteri che li hanno messi li per poter condizionare le poche ultime decisioni che devono prendere.

Come in ogni civiltà c’è un periodo di espansione, un periodo di stabilità ed un periodo di declino, mi sembra che per la nostra si sia imboccato il declino. Non ci sono più valori fondanti, non ci sono più ideali, non c’è alcun senso di appartenenza, non c’è alcuna lotta per raggiungere un traguardo. Ci siamo globalizzati.

Un pomeriggio con mia moglie entriamo in un negozio di intimo. Alla cassa due commesse parlano “…. sai qual’è il cibo in assoluto che andrei a mangiare quando proprio voglio mangiare bene? No, quale?  un hamburger….”

 

La Russia accelera l’uscita dal dollaro

F. William Engdahl New Eastern Outlook 05/12/2015
goldcore_bloomberg_chart5_19-11-14Da tempo Cina e Federazione Russa hanno capito, così come altre nazioni, che il ruolo del dollaro come principale valuta di riserva mondiale è il loro tallone d’Achille economico. Finché Washington e Wall Street controllano il dollaro, e finché la maggior parte del commercio mondiale richiede dollari per i pagamenti, le banche centrali come quelle di Russia e Cina saranno costrette ad accumulare dollari sotto forma di “obbligazioni” del debito del Tesoro USA, come riserva di valuta per proteggere le economie dalla guerra valutaria che la Russia ha subito a fine 2014, quando l’appropriatamente denominato ufficio su terrorismo e intelligence finanziaria del Tesoro degli Stati Uniti e Wall Street scaricarono il rublo con l’accordo USA-Arabia Saudita per far crollare i prezzi mondiali del petrolio. Ora Russia e Cina sono dirette verso l’uscita dal dollaro. Il bilancio dello Stato della Russia dipende fortemente dai profitti delle esportazioni di petrolio. Ironia della sorte, a causa del ruolo del dollaro, le banche centrali di Cina, Russia, Brasile e altri Paesi diametralmente opposti alla politica estera degli USA, sono costrette a comprare debito del Tesoro USA in dollari, di fatto finanziando le guerre di Washington, con cui mira a danneggiarli. Ciò sta cambiando. Nel 2014 Russia e Cina firmarono due accordi colossali 30ennali sul gas russo per la Cina. I contratti hanno precisato che lo scambio sarà in rubli e renminbi, non in dollari. È l’inizio di un processo accelerato della de-dollarizzazione in corso oggi.
Renminbi nelle riserve russe
Il 27 novembre la Banca Centrale della Russia annunciava di annettere il renminbi cinese nelle riserve ufficiali della banca, per la prima volta. Al 31 dicembre 2014, la banca centrale della Russia aveva riserve costituite per il 44% da dollari, il 42% di euro e la sterlina inglese per poco più del 9%. La decisione d’includere renminbi o yuan nelle riserve ufficiali della Russia aumenterà l’uso dello yuan nei mercati finanziari russi, a scapito del dollaro. Lo yuan ha iniziato a essere commercializzato come valuta, anche se non ancora pienamente convertibile in altre, nella Borsa di Mosca dal 2010. Da allora il volume delle compravendite yuan-rublo è cresciuta enormemente. Nell’agosto 2015 i cambiavalute russi e le aziende acquistarono 18 miliardi di yuan, circa 3 miliardi di dollari, con un aumento del 400% rispetto all’anno precedente.
Il rublo d’oro è in arrivo
Ma le azioni di Russia e Cina per sostituire il dollaro quale valuta di mediazione negli scambi commerciali, un commercio il cui volume è notevolmente aumentato dalle sanzioni di USA e UE nel marzo 2014, non sono le ultime. L’oro è in procinto di un drammatico ritorno sulla scena monetaria mondiale da quando Washington unilateralmente stracciò il trattato di Bretton Woods, nell’agosto 1971. A quel punto, su consiglio dell’emissario personale di David Rockefeller al Tesoro, Paul Volcker, Nixon annunciò che Washinton si rifiutava di onorare gli obblighi del trattato rimborsando i dollari detenuti all’estero con l’oro della banca centrale degli Stati Uniti. Da quel momento, voci insistettero che di fatto le casseforti di Fort Knox siano vuote; se ciò venisse verificato, significherebbe la fine del dollaro come valuta di riserva. Washington sostiene categoricamente che la Federal Reserve possiede 8133 tonnellate di riserve auree. Se fosse vero, sarebbe di gran lunga superiore alla seconda, la Germania, le cui riserve auree ufficiali sono indicate dal FMI a 3381 tonnellate. Nel 2014 un evento bizzarro emerse alimentando i dubbi sulle statistiche ufficiali dell’oro statunitense. Nel 2012 il governo tedesco chiese alla Federal Reserve di restituire alla Bundesbank, la banca centrale tedesca, l’oro “in custodia” della FED. Scioccando il mondo, la banca centrale statunitense rifiutò di restituire alla Germania il suo oro, con la flebile scusa che la Federal Reserve “non poteva distinguere i lingotti tedeschi da quelli degli Stati Uniti…” Forse dobbiamo credere ai revisori dell’US Federal Reserve per cui l’oro fu escluso dai tagli al bilancio degli Stati Uniti? Nello scandalo che ne seguì, nel 2013, gli Stati Uniti rimpatriarono 5 misere tonnellate di oro tedesco a Francoforte e annunciarono di dover attendere il 2020 per completare il richiesto rimpatrio delle 300 tonnellate. Altre banche centrali europee iniziarono a riprendersi il loro oro dalla FED, sempre più sfiduciati verso la banca centrale statunitense. In tale dinamica, la banca centrale della Russia accumulò drammaticamente le riserve auree ufficiali, negli ultimi anni, dato che la crescente ostilità con Washington s’era accelerata di molto. Dal gennaio 2013, l’oro ufficiale della Russia è aumentato del 129%, arrivando a 1352 tonnellate al 30 settembre 2015. Nel 2000, alla fine del decennio del saccheggio degli Stati Uniti della Federazione Russa, durante i bui anni di Eltsin, le riserve auree della Russia erano pari a 343 tonnellate. Le casseforti della Banca centrale russa che, al momento della caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 avevano circa 2000 tonnellate di oro ufficialmente, furono spogliate durante il controverso mandato del capo della Gosbank, Viktor Gerashenko, che disse a una Duma sorpresa che non sapeva spiegare dove fosse l’oro russo. Oggi è un’epoca diversa di certo. La Russia ha di gran lunga sostituito il Sudafrica come terzo Paese per miniere d’oro al mondo e per tonnellate annue estratte. La Cina è la numero uno. I media occidentali hanno propagandato molto il fatto che le sanzioni finanziarie guidate dagli Stati Uniti abbiano ridotto in modo significativo le riserve di dollari della banca centrale russa. Ciò che non segnalano è che la banca centrale in Russia ha acquistato oro, molto oro. Le riserve della Russia in dollari USA si sono ridotte recentemente, per le sanzioni, di 140 miliardi dal 2014, in parallelo al crollo del 50% del prezzo del petrolio, ma la disponibilità di oro è aumentata del 30% dal 2014, come indicato. La Russia detiene il maggior numero di once d’oro per gli exchange-traded funds (ETF). Solo a giugno, aggiunse il 12% della produzione mondiale annuale delle miniere d’oro, secondo seekingalpha.com. Il governo russo adottò la proposta molto sensata dell’economista russo e consigliere di Putin, Sergej Glazev, vale a dire che la Banca Centrale di Russia acquistasse ogni singola oncia di oro russo estratto ad un prezzo interessante in rubli, garantendosi l’aumento delle riserve auree dello Stato, evitando anche che la Banca Centrale comprasse oro sui mercati internazionali in dollari.
La bancarotta dell’egemone
Alla fine degli anni ’80, osservando la grave crisi bancaria degli Stati Uniti assieme al netto declino del loro ruolo, dal dopoguerra ,di nazione industriale leader mondiale e alle multinazionali degli Stati Uniti che esportavano la produzione nei Paesi dai bassi salari come Messico e Cina, gli europei cominciarono a concepire una nuova moneta per sostituire il dollaro come riserva e creare gli Stati Uniti d’Europa per rivaleggiare con l’egemonia statunitense. La risposta europea fu la creazione del trattato di Maastricht al momento della riunificazione della Germania, agli inizi degli anni ’90. La Banca centrale europea e l’euro più tardi, costruiti dall’alto e gravemente compromessi, ne furono il risultato. Una sospetta scommessa vincente da miliardi di dollari dello speculatore degli hedge fund George Soros, nel 1992, contro la Banca d’Inghilterra e la parità della sterlina, respinse Regno Unito e City di Londra dall’emergente alternativa europea al dollaro. Qualcuno ci guadagnò facilmente con gli stessi hedge fund colpendo l’euro nel 2010 attaccandone il tallone d’Achille, la Grecia, seguita da Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna. Da allora l’Unione europea, obbiettivo di Washington e incatenata alla NATO, non minaccia più l’egemonia statunitense. Tuttavia, sempre dal 2010, mentre Washington tentava d’imporre la Full Spectrum Dominance del Pentagono sul mondo sotto forma dei cosiddetti cambi di regimi arabi manipolati dalla Tunisia all’Egitto alla Libia e ora, con scarsi risultati, in Siria, Cina e Russia si sono avvicinate. L’alternativa russo-cinese al dollaro, sotto forma di rublo d’oro e renminbi o yuan d’oro, potrebbero avviare la reazione a catena dell’uscita dal dollaro statunitense, e quindi avviare un serio declino nella capacità degli Stati Uniti di utilizzare il dollaro quale riserva per finanziare le guerre con i soldi altrui. Ciò potrebbe avvantaggiare un mondo in pace rispetto alle guerre dell’egemone perdente, gli Stati Uniti.5F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, laureato in Scienze Politiche all’Università di Princeton, è autore di best-seller su petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Nel nome dell’Isis

Nel nome dell’ISIS

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Fino a un paio d’anni fa sigla pressoché sconosciuta ai più, oggi ha occupato di prepotenza le prime pagine dei giornali e dilaga nei dibattiti di tutti i media del mondo; l’ISIS è diventato il nuovo ‘Impero del male’ un nome che terrorizza i popoli.

di Piero Cammerinesi (corrispondente di Altrogiornale)

In suo nome vengono commessi stragi ed esecuzioni, decapitazioni e crocifissioni che sembrano riportare indietro l’orologio della storia direttamente al medioevo.

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Ma a fronte di azioni terroristiche mostruose e di proclami non meno deliranti, non sembra che vi sia nell’opinione pubblica una reale conoscenza di questo fenomeno, a cominciare dalla sua nascita per continuare con la sua storia, ma soprattutto dei fondamenti ideali su cui si basa.

C’è chi lo considera – come il presidente Obama – ‘non islamico’ mentre altri lo ritengono la vera incarnazione dell’Islam più puro.

Una gran confusione dunque, eppure ISIS – sigla che sta per Islamic State of Iraq and ash-Sham o Islamic State of Iraq and Syria o anche ISIL, Islamic State of Iraq and the Levant o, ancora, Daesh – oggi controlla un territorio in cui vivono oltre 10 milioni di persone, tra Iraq e Siria, oltre ad aree più limitate all’interno di Paesi come Libia, Afghanistan e Nigeria.

Il 24 giugno del 2014 questo gruppo si è autoproclamato califfato mondiale ed ha indicato come capo supremo, o califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, proclamando la propria autorità religiosa, politica e militare su tutti i fedeli dell’Islam del mondo ed affermando che “la legittimità di tutti gli emirati, i gruppi, gli Stati e le organizzazioni, è resa nulla a fronte dall’espansione dell’autorità del Khilafah [califfato] e dell’arrivo delle sue truppe nelle loro aree”.

Da quel momento, dunque, ISIS ha cessato di essere un movimento o un’organizzazione più o meno clandestini, ma si autodefinisce un vero e proprio Stato, con una propria organizzazione, una propria legge e una propria economia.

Nel giugno di quest’anno il califfato aveva già occupato Mosul in Iraq, di fatto governando un’area vasta circa come l’Italia.

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Ma cos’è un califfato?

Si tratta di una forma di governo, che risale all’Islam più antico, guidata da un califfo. Il termine deriva da Khilafah (successione) e si propone di realizzare l’unità di tutti i musulmani o Umma.

Come ha ripetutamente sottolineato Al-Baghdadi nel suo sermone di Mosul, riportare in vita il califfato è un dovere per ogni musulmano e, al tempo stesso, un veicolo di salvazione.

Il califfo è un vero e proprio successore di Maometto che, pur avendo una connotazione più politica che religiosa, può essere considerato – peraltro come il papa nella tradizione cristiana – un rappresentante di Allah sulla terra.

La nozione di califfato ha precisi riferimenti storici che tendono a restaurare le antiche glorie dell’Islam spazzate via dalla modernità ma soprattutto dal nuovo ordine del Medio Oriente voluto dall’Occidente all’inizio del secolo scorso.

L’ultimo califfato della storia risale, infatti, ai tempi dell’Impero Ottomano, quando venne spazzato via da Kemal Atatürk, il padre della moderna Turchia nel 1924.

Che grado di conoscenza abbiamo oggi in Occidente di questo fenomeno che rischia di provocare delle profonde trasformazioni nelle nostre società?

Ebbene, con tutta probabilità l’Occidente ha sino a oggi male interpretato, frainteso e sottovalutato una realtà che la drammatica attualità di questi giorni sta portando prepotentemente alla ribalta dell’opinione pubblica mondiale, suscitando invero reazioni scomposte, che nella maggior parte dei casi si basano solo sulla mancata comprensione dei fatti.

Il fenomeno, infatti, viene frainteso da almeno due punti di vista fondamentali.

In primo luogo in Occidente si tende a considerare il jihadismo (da Jihad, guerra santa agli infedeli) come qualcosa di unitario, minimizzando le enormi differenze esistenti al suo interno. Questo ha portato ad attribuire all’ISIS la stessa logica di Al-Qaeda, organizzazione che il califfato ha, negli ultimi anni, decisamente surclassato ed emarginato. È pur vero che Osama Bin Laden riteneva il proprio impegno terroristico come propedeutico al califfato ma la sua organizzazione era flessibile e basata su cellule largamente autonome. Lo Stato islamico, al contrario, per essere legittimo ha necessità di radicarsi al territorio, che suddivide in provincie, tramite una filiera di comando che si articola in due rami: civile e militare.

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Il secondo errore interpretativo – diffusosi in relazione alle azioni di Al-Queda – è quello di considerare i jihadisti dei combattenti moderni, con intenti strategici altrettanto moderni, se pur rivestiti di sembianze religiose di stampo medievale.

Ora quello che poteva valere per il terrorismo binladiano non ha più nessuna parentela con lo Stato Islamico, che intende trasporre in pratica i dettami del più rigoroso insegnamento del Corano.

Nel mondo occidentale le guerre di religione appartengono a un remoto passato e forse per questo la mentalità europea fa molta fatica a comprendere le spinte e le motivazioni che sono alla base di questo nuovo attore sul palcoscenico internazionale.

Si tende a non mettere in collegamento le azioni dell’ISIS con la base teologica coranica e questo è sicuramente comprensibile, ma altrettanto errato.

Il fatto che un movente religioso all’azione abbia poco significato a Washington o a Londra, sicuramente non vale a Raqqa o Mosul, dove chi sta decapitando un uomo al grido di Allahu akbar lo fa – nella maggior parte dei casi – per motivazioni religiose se pur malintese.

ISIS è islamico o è costituito solo da una banda di criminali?

ISIS non solo è islamico, ma lo è in modo assolutamente integralista e letterale.

Ogni pronunciamento della sua dirigenza, ogni legge, ogni documento, si richiama alla metodologia del Profeta in modo letterale, vale a dire che i dettami del Corano vengono seguiti puntigliosamente e con la massima precisione sin nei dettagli.

I dettagli, evidentemente, di un libro scritto circa 14 secoli fa.

Un po’ come se si pretendesse di seguire oggi alla lettera la Bibbia quando parla di schiavitù o di lapidazione o di taglio delle mani e dei piedi.

Pertanto, pur non potendo affermare che non abbia nulla a che fare con l’Islam, affermare che ISIS rappresenti l’Islam sarebbe un errore colossale; sarebbe come identificare il Cristianesimo con l’Inquisizione o l’Ebraismo con il Sionismo più estremo.

La storia ha abbondantemente insegnato che ogni religione, così come ogni libro sacro, sono soggetti a differenti interpretazioni – spesso estremamente divergenti – e il Corano non fa certo eccezione.

D’altra parte liquidare ISIS come non-islamico sarebbe un errore interpretativo di notevoli proporzioni, considerando che i precetti che il califfato mette in pratica sono apertamente espressi nelle surah coraniche. È evidente che la gran maggioranza dei musulmani riconosceranno che la schiavitù oggi non è praticabile e anche la crocifissione è leggermente demodé, tuttavia non potranno negare che tali indicazioni, rivolte ai nemici dell’Islam, si trovano nero su bianco nel Corano. Il fatto è che se un fedele dell’Islam ritiene che determinate indicazioni coraniche oggi non sono più valide, per i seguaci dell’ISIS egli, a rigor di logica, compie ipso facto un atto di apostasia e dunque merita la morte.

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Nel novembre di quest’anno lo Stato Islamico ha riconosciuto, in un video di propaganda, che la propria origine risale a Bin Laden, passando per Abu Musa’b al Zarqawi, a capo di Al-Qaeda fino alla sua morte avvenuta nel 2006, cui è succeduto Ayman al Zawahiri, il quale tuttavia non ha giurato fedeltà al califfato, creando così una spaccatura tra le due organizzazioni.

Sia Zawahiri che il suo maestro, il religioso giordano Abu Muhammad al Maqdisi, considerato la mente di Al-Qaeda, appartengono ad un’ala jihadista dei sunniti detta Salafismo, che prende il nome da al salaf al salih, vale a dire ‘pii padri fondatori’, cioè il Profeta ed i suoi primi seguaci.

I salafiti sono ugualmente rispettosi della lettera del Corano, tuttavia danno la priorità alla purificazione personale rimandando il progetto del califfato e della Jihad a tempi più maturi. Essi ritengono che i musulmani debbano dedicarsi piuttosto al perfezionamento della propria vita personale.

Nonostante il Salafismo non possa essere definito Islam moderato – anzi per la sua coerenza e intransigenza viene considerato estremo dalla maggior parte dei musulmani – esso fornisce comunque una alternativa a chi voglia rifarsi alla lettera del Corano ma non si riconosca nella strategia dello Stato Islamico, i cui seguaci condannano i salafiti senza appello e se ne fanno gioco in ogni possibile modo.

Lo Stato Islamico, con il suo riferirsi alla lettera del Corano, naturalmente ripudia le pratiche degli sciti, sostenendo che esse non si basano sulla dottrina coranica. Ciò significa niente di meno che 200 milioni circa di sciti vanno condannati a morte in quanto giudicati traditori e dunque più spregevoli dei kuffar, o infedeli. Stesso giudizio e stessa condanna per tutti quei capi di stato musulmani che hanno promulgato leggi che contraddicano la Shariah, l’unica legge che, in quanto divina e non umana, può essere rispettata da un vero musulmano. Costoro sono da condannare, pertanto, in quanto hanno messo delle leggi umane al di sopra di quella divina e sono pertanto takfir o apostati.

Ora la dottrina takfir professata dallo Stato islamico vuole conseguire una purificazione dell’umanità attraverso l’uccisione di un gran numero di persone, di fatto attraverso veri e propri genocidi. Questo sta avvenendo quotidianamente attraverso esecuzioni singole o di massa, da cui cristiani e anche ebrei – in quanto adoratori del Dio unico – sono risparmiati solo se si sottomettono alle leggi del califfato e pagano una tassa speciale, la jizya.

I militanti dello Stato Islamico, nella loro strategia geopolitica, si richiamano alla lettera delle regole di guerra del Corano. Questo spiega il motivo per cui azioni che l’occidentale moderno considera barbare e incomprensibili come la decapitazione o la crocifissione o il ridurre donne e bambini in schiavitù, sono per i combattenti del califfato regole da seguire.

In qualche modo si può dire che essi facciano rivivere rigorosamente il medioevo con tutte le sue atrocità nell’età moderna. Il Corano infatti indica la crocifissione come una delle poche punizioni consentite nei confronti dei nemici dell’Islam, così come la tassa ai cristiani è stabilita dalla surah Al-Tawba, nel nono capitolo del Corano, la quale stabilisce che si devono combattere ebrei e cristiani fino a che questi non si sottomettano e paghino la jizya.

Dato che fu il Profeta a decretare queste leggi e a possedere schiavi, gli attuali apostoli del califfato ne seguono puntigliosamente i dettami e i precetti, riportando in vita usi e tradizioni vecchi di secoli.

“Noi conquisteremo la vostra Roma, spezzeremo le vostre croci e ridurremo in schiavitù le vostre donne” ha scandito Adnani, il portavoce del califfato in uno dei suoi messaggi all’Occidente e “se non vedremo noi quel momento lo vedranno i nostri figli e nipoti e saranno loro a vendere i vostri figli al mercato degli schiavi”.

Non si tratta di semplici parole, visto che ad esempio la riduzione in schiavitù delle donne e bambini Yazidi viene attuata da tempo. “Ridurre in schiavitù le famiglie dei kuffar (infedeli) e prendere le loro donne come concubine è un aspetto ben preciso della Shariah che se qualcuno vuole ridicolizzare o negare significa che sta ridicolizzando o negando il Corano e la rivelazione del profeta ed è quindi un apostata dell’Islam” sostiene recentemente l’anonimo articolista di un gruppo di studio di studiosi islamici.

Qual è la novità fondamentale dell’ISIS nel panorama dei movimenti estremistici islamici degli ultimi anni?

Ebbene, è proprio la realizzazione del Khilafah – il fatto che esso esista esteriormente come stato – che permette la piena esecuzione della Shariah. Senza il califfato come entità realizzata fisicamente anche i fedeli non sarebbero tenuti a seguire pedissequamente le regole della legge islamica. Invece la stessa esistenza del califfato è ipso facto condizione sufficiente alla piena applicazione della Shariah. Non solo, in teoria tutti i musulmani sarebbero tenuti a trasferirsi nelle regioni dove la Shariah viene applicata.

Sino a oggi gli unici che avevano in qualche modo mantenuto una rigorosa fedeltà ai dettami coranici originari erano i wahabiti dell’Arabia saudita, ma presso i sauditi la Shariah si è concentrata nella parte punitiva (frustate, lapidazioni, decapitazioni), perdendo alcune caratteristiche fondamentali, ad esempio la giustizia economica e sociale, vale a dire le leggi che prescrivono il diritto ad avere una abitazione gratuitamente, cibo e abbigliamento per tutti, leggi che il califfato vuole introdurre e che evidentemente sono motivo di grande appeal per molti giovani che da tutto il mondo ingrossano le file di questo stato nello stato.

Chi sono coloro che abbracciano questa ideologia e migrano incessantemente verso i territori occupati dal califfato?

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Mi sono già occupato di questo fenomeno – e delle sue ragioni più profonde – in un precedente articolo, in cui ho cercato di grattare la superficie dei luoghi comuni che dilagano sui media occidentali a proposito dei giovani che abbracciano la macabra macchina di morte dell’ISIS. Si tratta di 30.000 militanti provenienti da tutto il mondo (2.000 foreign fighters solo dall’Europa) i cui arrivi, nei territori occupati dall’ISIS, dopo il discorso di Baghdadi, hanno avuta una intensificazione esponenziale.

Come testimonia Jürgen Todenhöfer, il giornalista tedesco che ha passato recentemente alcune settimane con i militanti dello Stato Islamico al confine con la Turchia il ritmo di arrivo era di 50 giovani al giorno, provenienti da vari Paesi del mondo occidentale.

Ora personalmente credo che solo la comprensione dei motivi che spingono questi giovani a lasciare le comodità e la sicurezza della modernità per emigrare verso zone di guerra e di massacri, spesso desiderando ardentemente il martirio, sia condizione necessaria, quantunque non sufficiente, per comprendere meglio le istanze dello Stato Islamico che Todenhöfer definisce, nel suo reportage, estremamente sottostimate da parte dell’Occidente.

Basti pensare alla definizione del presidente Obama fatta al new Yorker solo un anno fa secondo la quale ISIS sarebbe “un partner più debole di Al-Qaeda”.

Ma veniamo alla domanda fondamentale: che cosa vuole veramente l’ISIS?

Come si è visto, i motivi teoretici alla base della costituzione del Khilafah non mirano tanto alla conquista del Medio Oriente ed eventualmente di altri Paesi, quanto ad una ‘pulizia religiosa’ di proporzioni bibliche. A parte i credenti del Dio unico, vale a dire cristiani ed ebrei, ISIS si propone apertamente di annientare non credenti ed eretici e di ridurre in schiavitù le loro donne e i loro figli.

Praticamente – osserva Todenhöfer – si tratta di una condanna a morte per tutti gli sciti, gli yazidi, gli indù, gli atei ed i politeisti del mondo. Ai seguaci di queste visioni del mondo si aggiungono coloro – anche se musulmani – che credono nei valori della democrazia.

Il motivo?

Semplice; costoro, seguendo le leggi democratiche pongono di fatto una legge umana al di sopra della legge divina, la Shariah, commettendo dunque apostasia. Qualcosa che neppure Pol Pot o Hitler o Stalin hanno mai immaginato nelle loro menti diaboliche.

Come salvarsi? Solo convertendosi all’Islam prima della conquista del territorio in cui si vive da parte delle schiere del califfato.

In politica estera – ammesso che questo concetto sia applicabile al Khilafah – la legge islamica prevede la possibilità di trattati di pace temporanei, che non superino una decina d’anni ma non riconosce per definizione confini di sorta tra gli Stati.

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Nel 2013 Abu Mohammed Al-Adnani ha dichiarato che il movimento era pronto per “ridisegnare il mondo nei termini della metodologia del califfato, indicata dal Profeta” individuando pochi mesi dopo il proprio obiettivo nella “costituzione di uno Stato Islamico che non riconosca confini di sorta, coerentemente con l’insegnamento del Profeta”.

Al tempo stesso nessun organismo internazionale – come, ad esempio, le Nazioni Unite – può venir riconosciuto dal Khilafah, in quanto significherebbe riconoscere una autorità che non sia Allah. Se, per avventura, il califfo lo facesse, questo rappresenterebbe shirk, vale a dire politeismo, e dovrebbe portare alla condanna per apostasia e relativa rimozione del califfo.

Qual è allora la missione dell’ISIS?

Nel breve termine – come dichiarato all’indomani dell’eccidio di Charlie Hebdo, dall’organo officiale di ISIS, la rivista online Dabiq, “i musulmani in Occidente si troveranno presto di fronte ad un bivio” visto che l’effetto dell’attacco è stato quello di polarizzare le reazioni della società, eliminando la “zona grigia” rappresentata da coloro che professano la pacifica coesistenza di culture e religioni diverse.

In sostanza l’organizzazione ha inteso dichiaratamente estremizzare le posizioni dei fedeli, mirando a far sì che la reazione della popolazione cristiana faccia sentire i musulmani non più benvenuti nei Paesi che li ospitano. Insomma il califfato vuole spingere i musulmani che vivono nei Paesi occidentali o a rinnegare l’Islam o “a emigrare verso lo Stato Islamico per sfuggire alla persecuzione dei governi crociati e dei propri concittadini”. Con il secondo attacco di Parigi – peraltro già anticipato da Dabiq – si è in sostanza inteso manifestamente suscitare una sempre crescente ostilità tra i musulmani e le popolazioni di altre confessioni religiose all’interno dei Paesi occidentali in cui vivono.

Nulla di nuovo in questo, è una strategia che già aveva usato Al-Qaeda nell’Iraq post-invasione, favorendo lo scoppio della guerra civile.

In una lettera a Osama Bin Laden, Abu Musa’b al Zarqawi espressamente propose di provocare tale conflittualità, con un attacco alla maggioranza scita da parte della minoranza sunnita. “Se riusciremo a trascinarli – scriveva Zarkawi – nell’arena della guerra di sette sarà possibile risvegliare i sunniti visto che si sentiranno in pericolo imminente di annientamento e morte.”

La strategia sembra in parte funzionare, viste le reazioni di parte della cosiddetta società civile che ha iniziato a inneggiare all’espulsione o al non accoglimento dei profughi o alla demonizzazione dei musulmani in generale, nonostante la maggior parte di questi ultimi non nutra simpatia alcuna per le posizioni del Califfato.

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Appare pertanto evidente come il cosiddetto ‘scontro di civiltà’ venga attivamente perseguito non soltanto dalle élite occidentali ma anche dalla strategia dello Stato Islamico.

Ciò conferma l’ipotesi di una convergenza d’interessi di coloro che stanno pianificando lo scontro tra l’Occidente materialista e l’Oriente dell’idealismo capovolto.

Qual è la visione millenaristica dell’ISIS?

Il califfato ha dato vita ad una struttura sociale all’insegna di obbedienza, ordine, disciplina e attesa di un destino di sangue e di morte.

Eppure i suoi seguaci ne sono attratti come da un abbraccio mortale. Il millenarismo implicito nella sua missione, la consapevolezza di combattere per la realizzazione di una profezia verso la quale si ha una fede incrollabile è il vero nucleo di questo fenomeno. Sebbene ogni musulmano sappia che solo Dio può conoscere il futuro, sa altresì che Allah ha in qualche modo dato delle indicazioni attraverso il Corano e le comunicazioni di Maometto. A differenza di altre correnti jihadiste, il Khilafah ritiene che tali indicazioni siano affatto centrali nei libri sacri. E, tra queste, la visione millenaristica, apocalittica, è uno dei leit-motiv più importanti della visione del mondo dell’ISIS.

Come altre visioni apocalittiche ricorrenti nella storia dell’uomo, i seguaci di Baghdadi attendono ansiosamente l’arrivo del Mahdi, una figura messianica che dovrà condurre le schiere islamiche alla vittoria sugli infedeli prima della ‘fine dei giorni’.

Nelle predizioni collegate alla fine del mondo si parla di un succedersi di 12 Califfi di cui Baghdadi sarebbe l’ottavo e delle ‘armate di Roma’ – e qui si può interpretare Roma con l’Occidente cristiano e moderno – che si scontreranno nella battaglia definitiva nella Siria settentrionale, dopo di che giungerà Dajjal, l’anti-messia, che si manifesterà a Gerusalemme dopo la conquista islamica.

Le profezie narrano che egli verrà dall’Iran orientale e ucciderà un gran numero di fedeli musulmani, fino a circondarne, a Gerusalemme, gli ultimi 5.000 sopravvissuti. Ma, allorché Dajjal si accingerà ad annientarli, si manifesterà il ritorno di Gesù – il secondo profeta più rispettato dell’Islam – che sconfiggerà Dajjal e condurrà i musulmani alla vittoria finale. Il luogo dello scontro tra le armate dei ‘crociati’ e quelle del Khilafah è la zona di Dabiq, vicino ad Aleppo, e questo spiega l’ostinazione e la tenacia con cui i soldati dello Stato Islamico hanno combattuto per occuparla. Lo scontro di Dabiq rappresenterà l’inizio del conto alla rovescia per l’Apocalisse, anche se nessuno può essere certo di quando la fine dei tempi avrà luogo.

Come fermare l’ISIS?

La forza dell’ISIS – il Khilafah realizzato – è anche la sua debolezza. Vale a dire che se un altro movimento, Al-Qaeda ad esempio, venisse sconfitto potrebbe comunque entrare in clandestinità e continuare a combattere in modo sotterraneo, mentre il califfato, basando la propria legittimità sul fatto di esistere come struttura operativa sul territorio, se perdesse il potere sulle zone che controlla evidentemente cesserebbe tout-court di essere un califfato. Di conseguenza anche i doveri morali e pratici dei seguaci verrebbero a cessare.

Naturalmente c’è da chiedersi come si possa oggi sconfiggere il Khilafahnei territori occupati se non a prezzo di migliaia di vittime innocenti.

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Appare evidente che l’attuale politica di bombardamenti non stia sortendo gli effetti auspicati, né è pensabile che curdi o sciti potranno mai sottomettere un vastissimo territorio dove sono invisi alla maggioranza sunnita.

L’opzione, caldeggiata da alcuni, dei boots on the ground, vale a dire di un attacco militare con truppe di terra, è altrettanto da scartare considerando l’elevatissimo numero di vittime innocenti che porterebbe con sé, come si è visto con l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Non solo, ma per i motivi sopra trattati, anche vincendo la guerra si…perderebbe certamente la pace.

Nel frattempo gli attentati di Parigi hanno raggiunto dei risultati ben precisi. Come sostiene Fausto Carotenuto, dopo il bagni di sangue di venerdì 13 Novembre si è visto come siano, come per incanto, tutti pronti a fare qualsiasi cosa per fermare il nuovo ‘Impero del male’.

Era questo forse l’obiettivo che si voleva raggiungere, ricercato a lungo attraverso le cosiddette ‘primavere arabe’ e la detronizzazione dei capi di stato laici dei Paesi mediorientali con lo scopo di rimpiazzarli con quelli islamici, fautori del terrorismo.

Eppure già un contenimento della sua espansione sarebbe già un successo in quanto minerebbe alla base la forza profetica dei suoi obiettivi trionfali. L’ISIS non ha alleati, nessuno Stato appoggia apertamente la sua politica, anche se – per motivi estremamente complessi e occulti – ne finanzia la crescita; inoltre il territorio che controlla è estremamente povero e sottosviluppato, a parte le risorse petrolifere da cui sembra ricavare 1,5 milioni di dollari al giorno.

L’unico possibile intervento efficace – come alcuni sagaci commentatori politici sostengono – sarebbe quello di realizzare un efficace embargo intorno alle aree occupate dal califfato, privando i militanti di approvvigionamenti, armi ed energia.

Sarà possibile dunque sconfiggere l’ISIS?

Ma un tale embargo, come sappiamo, sarà di difficile realizzazione per un motivo ben preciso.

isis 10Vale a dire per il fatto che l’ISIS è in realtà una creatura dell’Occidente, creata, organizzata e finanziata con lo scopo di mantenere alto il livello di paura e di insicurezza di interi popoli, pronti a rinunciare a porzioni sempre maggiori di libertà ed autonomia.

Attraverso la manipolazione mediatica si vuole palesemente ottenere determinati effetti, si vuole alimentare l’odio e la paura e, al tempo stesso, far ingrassare sempre più le corporation delle armi che oggi dispongono di budget stratosferici, che altrimenti, senza un nemico da combattere, sarebbero palesemente ingiustificabili di fronte all’opinione pubblica mondiale.

Per capire meglio il Big Game, basti pensare a chi ha appoggiato e finanziato questi movimenti:

Arabia Saudita – Nel 2006, su mandato USA, ha organizzato Al-Qaeda in Iraq per impedire che l’Iraq si riavvicinasse all’Iran. Ha armato la maggior parte degli estremisti islamici in Siria.

Turchia – Ha consentito il passaggio dei foreign fighters nella Siria settentrionale. Insieme all’Arabia Saudita ha organizzato quest’anno dei gruppi armati di Al-Qaeda per invadere la Siria. Ha dato ospitalità ai leader islamici ed ha coordinato le vendite del petrolio sottratto dall’ISIS.

Qatar – Tra il 2011 e il 2013 ha trasferito milioni di dollari a gruppi islamici collegati con i Fratelli musulmani e successivamente ha appoggiato le azioni di Arabia Saudita e Turchia.

Israele – Fornisce armi e assistenza medica ai ‘ribelli’ islamici compresi Al-Nusra e ISIS. Coordina i transiti sulle alture del Golan.

Francia e Gran Bretagna – Forniscono armi ai ‘ribelli’ islamici che poi le trasferiscono ad Al-Qaeda.

Stati Uniti – Gli USA sono il vero e proprio ‘cervello’ di tutta questa operazione. Dopo aver causato, con l’invasione dell’Iraq del 2003, ma soprattutto con l’eliminazione – dalla sera alla mattina – di tutti i quadri dell’esercito iracheno, che sono passati armi e bagagli alle schiere dei ribelli, ha consentito l’uso delle proprie basi militari in Turchia, Giordania, Qatar, Iraq e Arabia Saudita. Arma i cosiddetti ‘ribelli siriani’ che poi passano all’ISIS. Senza parlare di testimonianze di ufficiali iracheni che sostengono che l’aeronautica USA rifornisca l’ISIS con lanci di materiali ed armi dal cielo.

Le azioni di questi Paesi, affiancati dalla manipolazione mediatica e dai servizi segreti collusi ha reso possibile ai cittadini dell’Occidente la percezione di una nuova contrapposizione tra due blocchi avversari, procedendo nel percorso verso un Nuovo Ordine Mondiale nel quale una sempre maggiore egemonia dei superstati sostituirà le autonomie delle nazioni e i margini di libertà dei popoli.

E l’ISIS è un prezioso alleato in questo percorso.

Perché dovrebbero privarsene?

Ultim’ora

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Mentre sto concludendo questo articolo mi giungono le inquietanti notizie dell’abbattimento di un aereo russo da parte dell’aviazione turca, che, purtroppo, tendono a confermare quest’analisi dei fatti.

C’è chi sta coscientemente cercando di innalzare il livello dello scontro in modo da creare un punto di non ritorno, coinvolgendo non solo i Paesi Nato ma anche la Russia che, da alcune settimane, è intervenuta in modo evidentemente troppo efficace nello scacchiere mediorientale con i suoi bombardamenti delle roccaforti dell’ISIS.

Questo incidente che Putin ha chiamato “una coltellata alle spalle” potrebbe avere delle conseguenze imprevedibili, considerando che un’aggressione a un Paese Nato – quale la Turchia – rischierebbe di coinvolgere tutta l’alleanza atlantica.

Se così avvenisse la proxy war che è stata innescata in Siria potrebbe sfociare in un conflitto diretto tra potenze nucleari, con esiti disastrosi.

Speriamo che la ragionevolezza sappia sventare gli oscuri disegni di chi vuole ancora una volta precipitare il mondo in guerra.

pierocammPiero Cammerinesi: Sono un giornalista e ricercatore italiano indipendente che vive e lavora da anni negli Stati Uniti.
Già editore e pubblicista in Italia per tre decenni, ho studiato e lavorato in Italia, Germania e USA.
Ho frequentato la Scuola Orientale di Roma, approfondendo un percorso di studio del pensiero filosofico orientale antico, per laurearmi poi in Filosofia moderna, proseguendo gli studi in Germania, dove ho vissuto e insegnato.
Da sempre molto legato all’esoterismo ed alla cultura orientale ho seguito dapprima le lezioni e conferenze di Krishnamurti e gli insegnamenti di alcuni Yogin, fino all’incontro con Massimo Scaligero, che mi ha introdotto all’esoterismo occidentale. Per otto anni ho avuto lo straordinario privilegio di avere incontri settimanali personali con lui, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1980.
Autore di articoli e saggi, ho tradotto dal tedesco libri di Rudolf Steiner, Gustav Meyrink e, più recentemente, di Judith von Halle.

Il nome “libero pensare” di questo sito intende sottolineare la mia indipendenza da qualsiasi dottrina, corrente o organizzazione esteriore, riconducendo ogni possibile ‘appartenenza’ alla Via del Pensiero di cui Massimo Scaligero è stato insuperato Maestro.

Fonte: http://www.altrogiornale.org/nel-nome-dell-isis/

Chi finanzia l’ISIS – 3

Ecco un altro punto di vista che io considero vincente sulle responsabilità dell’occidente o meglio degli interessi economici dell’occidente nell’ISIS.

Putin al G20: “Finanziatori dell’ISIS tra noi”

Red. Online-ats

VERTICE DI ANTALYA – Messo al bando all’unisono il terrorismo, considerato un “affronto contro l’umanità” – DÌ LA TUA

ANTALYA – “L’ISIS è finanziato da quaranta nazioni, incluso diversi membri del G20”. Lo ha affermato ieri ad Antalya il presidente russo Vladimir Putin, durante la riunione avviata in Turchia dai venti paesi più industrializzati, spiegando ulteriormente il peso delle proprie parole nell’ambito di una conferenza stampa seguita ai lavori. Si è trattato di un chiaro segnale politico, in primis agli Stati Uniti, dell’importanza dell’intervento russo in Siria contro lo Stato islamico, ha lasciato intendere lo stesso Putin, a maggior ragione a seguito degli attentati di Parigi.

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Vediamo di capire quali sono questi paesi:

l’Arabia Saudita:

Abd Allah, il re dell’Arabia Saudita, ha appena compiuto 90 anni. Non si sa chi comandi davvero a Riad. La classe dirigente incredibilmente ricca e potente che custodisce il luogo più sacro dell’islam, la Mecca, rappresenta un enigma inquietante. L’occidente da decenni la considera un baluardo da sostenere e da armare. Un intreccio di investimenti finanziari la lega indissolubilmente alle nostre economie. Perfino Israele gioca di sponda -pur senza dichiararlo- con la dinastia che fronteggia l’Iran e (in contrasto col Qatar) vorrebbe debellare il movimento dei Fratelli Musulmani, tanto da isolare la stessa Hamas nella morsa di Gaza.
Eppure l’Arabia Saudita gioca su due tavoli. Da una parte il rapporto privilegiato con gli Usa. Dall’altro l’alimentazione di un islam salafita, estremista, fondamentalista e anche jihadista. Le milizie dell’autoproclamatosi califfo al-Baghdadi godono di un indiretto ma decisivo supporto di Riad. Mai rivendicato, ma neppure smentito.
L’impressione che ne traggo è la seguente: l’Arabia Saudita, consapevole che la ricchezza petrolifera non potrà garantirla in eterno e che la sua centralità strategica è provvisoria, sfida la declinante supremazia occidentale tenendosi pronta a cavalcare uno scenario alternativo di natura catastrofica: cioè la vittoria degli oscurantisti in un ribaltamento degli equilibri mondiali.
La Mecca resta così il simbolo di un’ambiguità islamica mai risolta. E l’Arabia Saudita si conferma spina nel fianco della stabilità internazionale. Il più infido degli alleati dell’occidente.

(fonte http://www.gadlerner.it/2014/08/21/il-vero-mistero-perche-larabia-saudita-arma-e-finanzia-lis)

vedi anche molto interessante (http://www.rivistastudio.com/standard/sauditi-isis/)

La Turchia (paese NATO):

Oggi l’Isis è sostenuta finanziariamente dalla Turchia. Come accade? Lo Stato Islamico ruba il petrolio siriano e iracheno, lo trasporta tramite camion verso la Turchia, lo vende dai porti turchi nel mercato nero. Il denaro viene pagato attraverso società turche, alcune delle quali riconducibili perfino a parenti di Erdogan. Il gruppo che è al potere in Turchia prende la sua tangente e il resto di quei soldi finisce nelle casse dell’Isis. Questa operazione è in corso, sotto gli occhi degli Stati Uniti e dell’Onu. E accade ogni ora di ogni giorno. Dal Qatar e dall’Arabia Saudita poi un flusso di finanziamenti arriva all’IS ma anche ad Al Nusra e ai Fratelli Musulmani, che dopo la riconciliazione, fra Arabia Saudita e Turchia, promossa da Usa, hanno riunito i gruppi terroristici sotto il nome di Jaish al Fath, per una nuova escalation di attacchi contro la Siria.

(fonte http://www.vietatoparlare.it/chi-finanzia-lisis-in-siria/)

Chi finanzia l’ISIS – 2.

today.it

Il denaro del Califfato: ecco chi finanzia l’Isis

Selene Cilluffo 16 novembre 20

Lo Stato islamico incasserebbe 50 milioni di dollari da quei pozzi di petrolio che i raid aerei non hanno raggiunto. Risorse che ora mantengono il Califfato con il contrabbando del greggio: “Un’economia di guerra” ci spiega l’economista Loretta Napoleoni.

Una guerra come ne abbiamo già viste, che ha come obiettivo il controllo del petrolio. Perché da lì si muovono gli interessi economici globali, da lì arrivano i soldi per finanziare il Califfo. Un vecchio problema, mai risolto, che adesso si esprime attraverso la battaglia contro l’Isis. Da tempo i territori controllati dall’esercito nero vengono bombardati: è di poche ore fa il raid francese, dopo gli attentati di Parigi. Una risposta che aveva preannunciato il premier francese François Hollande quando ha detto “saremo spietati”.  Prima ci sono stati la Russia, gli Usa e tutte le forze riunite in quella che è la più grande coalizione militare della storia: oltre sessanta governi coinvolti in varie forme. Ma quelle bombe non hanno colpito le infrastrutture, il centro vitale ed economico dello Stato islamico: gli impianti di estrazione e raffinazione del petrolio sono praticamente intatti.

IL PETROLIO NELLE MANI DEI JIHADISTI – Lo Stato islamico dai giacimenti di greggio iracheni e siriani incassa quel guadagno necessario al proprio sostentamento: “L’Is è finanziato come uno Stato, attraverso le tasse. I miliziani jihadisti controllano un territorio in cui vivono circa 8 milioni di persone, che vengono tassate. A loro volta queste persone vivono spesso sulla base dello sfruttamento delle risorse del territorio, petrolio in primis, che poi viene contrabbandato e comprato anche dall’Europa” ci spiega Loretta Napoleoni, economista e autrice di “Isis. Lo stato del terrore” (Feltrinelli), esperta di finanziamento di gruppi terroristici e riciclaggio di denaro. “È vero che ci sono i finanziamenti dei simpatizzanti dell’Is che arrivano dai paesi del Golfo ma il guadagno effettivo arriva da questo sfruttamento. Il commercio viene portato avanti anche con le nazioni limitrofe a Iraq e Siria. Insomma una vera e propria ‘economia di guerra’: un meccanismo che noi europei col tempo abbiamo dimenticato“.

Secondo le fonti dell’intelligence americana si tratterebbe di un incasso di 50 milioni di dollari. Con quei soldi l’Isis mantiene il controllo nei suoi territori, offrendo servizi ai suoi abitanti, attraverso una sorta di “stato sociale”: scuole, pensioni, servizi.  Poi arma e paga i miliziani, pronti a morire nel nome del Califfo. Ovviamente quei soldi servono anche a presidiare e difendere quegli impianti, perché devono rimanere efficienti per continuare a ingrossare il traffico illegale di petrolio, che arriva nel Vecchio continente tramite la Turchia.

GLI ATTENTATI “LOW COST” – Ma sono finanziamenti che con gli attentati a Parigi non c’entrano: “In realtà quelli che noi chiamiamo “attentati” non costano troppo. Le armi si trovano facilmente anche sul mercato dentro i nostri confini europei: un kalashikov costa più o meno 500 euro. Ci sono poi altre spese, che riguardano i documenti e la logistica, ma davvero sono minime. Non c’è stato un grande investimento, come per l’undici settembre ad esempio. In più si tratta di una sorta di rete europea (come abbiamo  visto anche dalle indagini e dagli arresti già fatti): come e cosa colpire è una decisione che viene presa da chi attacca e non dai vertici dell’Isis. Basta pensare agli obiettivi che i terroristi hanno scelto: non credo che il califfo sappia cosa sia il Bataclan”. Stesso meccanismo per la compravendita delle armi: “Di solito il traffico avviene anche attraverso i contatti con la criminalità locale, grande o piccola che sia. Come succedeva con il terrorismo negli anni ’70, la criminalità si muove tutta insieme perché alla fin fine hanno tutti lo stesso nemico: questo Stato, queste leggi, quest’Europa”. 

LE RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA – Il Vecchio continente ha la “guerra in casa” ma da sempre nei suoi confini c’è una parte della sua economia: “Le responsabilità dell’Europa in questo senso sono enormi. Abbiamo lasciato che tutto questo accadesse sottovalutando i progetti di questo gruppo, che è diventato uno Stato dal 2011 ma nonostante ciò non ci siamo mossi. Non riesco a trovare una giustificazione a questa politica estera inesistente – continua Napoleoni – C’è una mentalità politica e finanziaria basata sul presupposto che abbiamo sempre ragione, che siamo il centro del mondo. Ci contorniamo di persone e di specialisti che portano avanti questa narrazione, che è quella che vogliamo e tutti coloro che la pensavano diversamente non hanno avuto un ruolo chiave in questo contesto”.

Intanto François Hollande ha deciso di dichiarare lo stato d’emergenza e di chiudere le frontiere. È questo il modo in cui si depotenzia l’Isis e le sue cellule europee? “Un maggior controllo è necessario ma questa chiusura totale trasmette l’idea del panico. C’è anche da aggiungere che mentre i terroristi si muovo all’interno dello spazio europeo, l’antiterrorismo è nazionale. Non si può negare che le frontiere aperte aiutino a deliquere. L’antiterrorismo invece ha giurisdizione nazionale: sarebbe necessario ‘ampliare’ i confini dell’antiterrorismo, arrivando a una forza europea. Ma su questo punto non credo che ci sia ancora la volontà politica di dare vita a un organo del genere” conclude Napoleoni.

Chi finanzia l’ISIS

Sempre nel sistema di articoli Cui Prodest vediamo questo interessante articolo di Luca Ciarrocca apparso sul fatto quotidiano il 30 Maggio 2015:

Isis, chi lo finanzia? Americani e alleati, naturalmente – Il Fatto Quotidiano

Luca Ciarrocca

Giornalista e scrittore di geopolitica e macroeconomia
In politica estera l’America ha sempre sbagliato tutto. Propaganda di un gruppo radicale anti-Usa? No, parole pronunciate da un candidato repubblicano alla Casa Bianca per le presidenziali 2016. Rand Paul, senatore, libertario, non-intervenzionista, è sicuro che dietro l’ascesa dell’Isis ci sono gli americani, anzi, “un paio di  repubblicani esperti di affari esteri” – Lindsey Graham e John McCain (quest’ultimo sconfitto da Obama nel 2008 e oggi guerrafondaio n.1). “Isis è sempre più forte perché i falchi nel nostro partito hanno fornito indiscriminatamente armi agli estremisti”, ha detto a Morning Joe su Msnbc il senatore. “Volevano far fuori Assad e bombardare la Siria. Sono stati loro a creare questa gente”. E poi: “Tutto quel che i falchi hanno fatto e detto in politica estera negli ultimi 20 anni riguardo a Iraq, Siria e Libia, lo hanno sempre sbagliato”.La tesi non è inedita. Anzi è storia. L’11 settembre ha cambiato il  corso degli eventi in quanto risultato degli errori di Washington, che in Afghanistan e Pakistan per anni ha finanziato gruppi di insorti per rovesciare i governi locali.

La situazione oggi è fluida o in stallo, tutti attendono che a giugno sia verificata l’efficacia dell’accordo sul nucleare in Iran impostato da Obama (personalmente credo che la lungimiranza del presidente americano verrà capita solo in futuro). Nonostante Isis resti una minaccia, Obama si guarda bene dall’inviare “truppe sul  campo” per sconfiggere i 25.000 terroristi dello Stato Islamico. Non sarà perché nelle fasce ‘manipolabili’ della popolazione (in Italia leghisti e destre ‘di pancia’) l’operazione “alert terrorismo” ha già dato i frutti? Con i video raccapriccianti di decapitazioni o l’abbattimento di reperti archeologici in città storiche, lo scopo è raggiunto: scatenare nelle masse la reazione psicologica paura/odio/voglia di punizione.

Cospirazionismo? Decidete voi. Ma che direste sapendo che la tesi della ‘regia occulta’ ha avuto l’avallo anche ai massimi livelli dell’amministrazione di Washington? Ne ha parlato il n. 2 di  Barack Obama, Joe Biden, vice-presidente degli Stati Uniti. In un discorso tenuto  all’Università di Harvard, in Massachusetts, Biden (notoriamente incline alle gaffe) ha accusato i paesi alleati Usa nel Golfo – Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar – di non fare abbastanza per combattere Isis e, peggio, di essere loro i finanziatori del gruppo che ha preso il posto di Al-Qaeda (surclassando in un anno i seguaci di Osama bin Laden per brutalità, strategia,  soldi e marketing mediatico).

Basta rileggersi il trascript di un programma andato in onda su Cnn il 7 ottobre 2014 per averne conferma – Joe Biden: “Hanno fatto piovere centinaia di  milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi nelle mani di chiunque fosse in grado di combattere contro Assad, peccato che chi ha ricevuto i rifornimenti erano… al Nusra, al Qaeda e gli elementi estremisti della Jihad provenienti da altre parti del mondo”.

L’amministrazione Obama ha presentato scuse formali e ritrattazioni. Ma in privato, funzionari della Casa Bianca ammettono che “mentre il vice-presidente è stato poco diplomatico, la sua posizione non è errata quando dice che soldi e armi sono finiti nelle mani di estremisti”. Corollario: le frasi dell’unico “uomo onesto a Washington” (come è stato definito Biden) unite alla dichiarazione di Rand Paul sul ruolo dei falchi repubblicani, in pratica ufficializzano l’asserzione secondo cui dietro Isis ci sono i paesi arabi alleati dell’America con la regia del governo di Washington.

Una settimana fa, ulteriore inattesa conferma. Il gruppo conservatore americano “Judicial Watch” ha reso pubblico un rapporto ‘top secret’ della Dia (Defense Intelligence Agency), i servizi segreti del Pentagono. Il documento, 7 pagine, datato 12 agosto 2012, espone il solito errore geopolitico di sempre. La Dia prevede e convalida la creazione di uno Stato islamico per sbarazzarsi del presidente siriano Bashar al-Assad, la cui dittatura – oggi sappiamo – ha causato il  massacro di oltre 200.000 vittime nella guerra civile siriana. Ma la nascita di un “principato salafita” che “unifichi l’estremismo jihad tra sunniti in Iraq e in Siria” non impedisce un’altra accurata previsione: “Assad rimarrà al potere”.

La scorsa estate Isis ha conquistato Mosul in Iraq, il mese scorso ha preso il controllo anche di Ramadi. E da tre giorni  la bandiera nera dello Stato Islamico sventola anche nella storica città siriana di Palmyra.

Il papello desecretato suscita domande inquietanti. Uno, diventa lecito mettere in dubbio gli sforzi che ampliano i poteri statali anti-terrorismo, cioè il monitoraggio di Cia e Nsa da parte del governo Usa, e dei servizi in Uk e altri paesi alleati (anche in Italia per il Giubileo di ottobre). Due, l’Occidente combatte contro un nemico comune che però è nato in laboratorio come il mostro di Frankenstein, grazie a maneggi ed alchimie degli stessi suoi creatori per fini geopolitici inconfessabili. Ecco perché non ha senso continuare a fare gli stessi errori  degli ultimi 20 anni, come dice l’ottimo Rand Paul.